Gustave Flaubert, lo scrittore che fu analfabeta

A cura di Miriam Romano

Gustave Flaubert fu un bambino tardo di comprendonio e lento nell’apprendimento. Imparò piuttosto tardi a leggere e a scrivere: a quasi nove anni. Strillava e piangeva calde lacrime per tutta la casa perché il suo cervello non assimilava quei segni che si alternavano sul foglio e non riusciva in alcun modo a legarli insieme. Com’è possibile che quel bambino imbronciato, che faticava a dar voce ai caratteri, divenne uno degli scrittori più celebri di tutti i tempi? L’autore di Madame Bovary, da bambino, era un asino.

I suoi genitori lo consideravano tale: un ebete, un idiota. Sempre più indietro rispetto agli altri due figli, quel bambino si perdeva nelle sue fantasticherie, con lo sguardo imbambolato, muto si “lasciava assorbire dal mondo circostante”. Il suo destino era segnato dalla nascita: sarebbe per sempre stato un idiota.

Com’è accaduto l’inverso? Come è avvenuto il riscatto di Gustave, prigioniero delle desolanti aspettative della sua famiglia? “Come può un bambino destinato a essere un idiota diventare un genio?”. Jean Paul-Sartre per rispondere alla domanda ne scrisse la biografia intitolandola “L’idiota della famiglia” (Il Saggiatore, pp. 1158, euro 62), recentemente ripubblicato. Sartre analizza Flaubert come farebbe un analista. Ma da filosofo e storico, non si esime dal calare quell’esistenza nel suo contesto storico. Ne studia gli intrecci e le relazioni, le vite passate dei suoi genitori. “Che cosa si può sapere d’un uomo al giorno d’oggi? Mi è sembrato che non si potesse rispondere a questa domanda se non con lo studio di un caso concreto: che cosa sappiamo noi- per esempio- di Gustave Flaubert?”, scrive nell’introduzione.

Gustave è il figlio sbagliato di una madre che desiderava una femmina e di un padre che aveva ormai riposto tutto nel primogenito Achille, l’incarnazione perfetta dell’erede. Cosa restava da fare a Gustave? Come poteva emergere in un mondo così precostituito che lo aveva escluso dalla nascita?

Cercare di competere sarebbe stata una battaglia persa. Era stato tagliato fuori dalla realtà, in nessun modo sarebbe venuto a galla. Il posto che gli era stato concesso era poco più di un ritaglio, sempre fuori dalle stanze delle vite degli altri. Alla stregua di una bestia, poco più di un vegetale, Gustave era incapace di usare il linguaggio: a cosa servivano a lui le parole se tutti i ponti di comunicazione con gli altri erano già stati tagliati?

Sartre descrive un bambino in fuga, costretto in un’altra dimensione. Bisogna partire da qui per capire la riscossa di Gustave Flaubert, l’idiota che divenne genio. L’analfabeta che diventò scrittore. Non aveva altra via se non quella di lasciare definitivamente la realtà che lo aveva cacciato. Gustave, tagliato fuori dal reale, non può fare altro se non scegliere l’immaginario. La scrittura diventa l’unico strumento per farsi uomo: scappa dal mondo per costruirne un altro, fantastico, irreale, ma che finalmente padroneggia. Sceglie l’irreale di cui diventa creatore. Ed ecco che la scrittura, conquistata con tanta fatica, è la sua scialuppa di salvataggio che lo trascina definitivamente però fuori dalla realtà. Le parole che si incasellano nelle pagine forgiano l’esistenza dello scrittore francese insieme a quelle dei suoi personaggi, celebri ancora oggi. Il suo stile compatto e granitico erge il muro invalicabile dentro il quale Gustave costruisce il suo mondo. In altre parole, attraverso la frase perfetta, Flaubert “si impadronisce del mondo per metterlo in questi piccoli erbari che sono i libri”.