Pascoli, il poeta maledetto

A cura di Miriam Romano

Un bell’uomo che si porta alle labbra un boccale di vino, poi un altro ancora. Giovanni Pascoli se ne sta nel cantuccio di un’osteria dove la vita notturna scorre tutt’altro che tranquilla. Schiamazzi, qualche ubriaco che batte il pugno sul bancone per reclamare un altro bicchiere, una rissa scoppiata dal nulla, improvvisi colpi di scena nel buio. Tra quel trambusto il poeta passava serate e notti fonde. Ben lontano dal “nido” familiare, dall’incredulità fanciullesca, dall’innocente stupore del bambino. Le sfumature più scabrose della vita, Pascoli le conosceva bene. Eccome.

Giovanni Pascoli è il poeta maledetto italiano. Alla pari di Baudelaire, Verlaine, Poe e compagnia. La vulgata scolastica ne ha falsificato il ritratto, lo ha sottratto alla verità, insabbiandone tratti biografici e poetici. È la tesi che Francesca Sensini illustra nel libro “Pascoli Maledetto”(Il Melangolo, pp. 156, euro 12).

“Questo è un lavoro a tesi ed un lavoro di parte. La tesi è che Pascoli sia il nostro poeta maledetto o, detto altrimenti, che debba essere ricondotto a quella temperie estetico-filosofica e studiato in una prospettiva risolutamente europea. Pascoli maledetto, dunque, à la Verlaine e a modo suo, con un’originalità che ne fa un maestro unico della poesia europea moderna. E doppiamente e altrimenti maledetto, perché fissato in una storia e rappresentazione di sfortune, di traumi, di turbe, di lacrime che obbligano l’artista e la sua opera a una veglia mortuaria in cui tutte le cavalle sono storne”, spiega nell’introduzione.

La storia di Pascoli, come dimostra Francesca Sensini nel suo volume, non va ridotta ai lutti familiari, al “nido” come rifugio e fuga dalla vita e dalla Storia, alla personalità regressiva, all’adulto rimasto bambino, sessuofobico e represso, poeta impressionista e asistematico. Quello che abbiamo imparato a scuola va raso al suolo.

L’autrice ricostruisce l’esistenza bohème a Bologna, con gli amici goliardi e giovani artisti, uno studente tutto dedito alla poesia, al giornalismo politico, alle riunioni dell’Internazionale e alle osterie, dove teneva banco con la sua oratoria piena di fascino e di passione.

E poi l’uso e l’abuso (specie nell’ultima parte della sua vita) di alcool, il consumo di laudano, un rimedio a base di oppio, alcool e spezie (di fatto una droga), con potere calmante o eccitante, a seconda dei dosaggi. O ancora il suo arresto durante una manifestazione contro l’imprigionamento di alcuni compagni internazionalisti, i componimenti poetici di ispirazione rivoluzionaria (come “La morte del ricco” e un’ode a Passanante) e gli amori: Pascoli è poeta d’amore e la sua poesia abbonda di figure fascinose di donne. Accanto ai vari rapporti ufficiali e innamoramenti, documentata di recente da ricerche di archivio, si registra la sua frequentazione delle case di tolleranza.

Per chi non crederà a questo ritratto inedito di Pascoli, è lui stesso a dare testimonianza della sua vita dissoluta. In una lettera indirizzata al fratello Raffaele, lo ammette: “Puoi immaginare quanti pasticci abbia fatto per non fare accorti in casa di una somma così grande che se ne va – nel bordello e nell’osteria”.