In Sant’Eustorgio l’addio commosso di amici e familiari ad Andrea Pinketts [videonews]

Gremita, questo pomeriggio, la basilica di Sant’Eustorgio per i funerali di Andrea G. Pinketts, lo scrittore milanese scomparso all’età di 57 anni, giovedì scorso. Il feretro è una bara in legno chiaro, con rose bianche. Nelle prime file, i familiari e gli amici e tra loro Michelle Vasseur, proprietaria de le Trottoir, il locale amato e frequentato da Pinketts. Alla funzione religiosa anche l’assessore alla Cultura Filippo Del Corno, Lella Costa, Ricky Gianco e altri artisti milanesi. “Andrea era un maestro della parola, uno della ‘scuola dei duri’ – ha detto don Giorgio Riva, parroco di Sant’Eustorgio, che ha celebrato la Messa-, ma un duro con il cuore di meringa. Sapeva ascoltare, dava, incoraggiava”. “Credo che ora saprebbe scrivere cose meravigliose, per come vede ora la vita, dalla parte di Dio”, ha detto ancora.

“Andrea grazie, mi hai insegnato molto e non ti dirò mai addio”. Così Mirella, la mamma di Andrea Pinketts, ha ricordato il figlio nel corso della cerimonia funebre celebrata dal parroco, don Giorgio Riva, per lo scrittore, oggi nella basilica di Sant’Eustorgio, salutata dall’applauso commosso dei tanti presenti nella basilica. Applauso che ha accompagnato anche l’uscita del feretro. La donna ha inoltre letto una lettera scritta per Pinketts dalla scrittrice Barbara Alberti: “Quando arrivava mi mettevo a ridere, portava una gioia anarchica. Con lui sembrava sempre – scrive Alberti -di stare in un’avventura, anche se si era in un baretto, era un’avanguardia vivente. Il fumo del sigaro lo trasformava in un fumetto, era una canzone di Paolo Conte, faceva innamorare. Eri un bambino purissimo, sei riuscito a non crescere mai, diventando un grand’uomo”.
“C’è una cosa piccola di Andrea che non ho mai capito – ha detto Antonio D’Orrico, giornalista e critico del Corriere della Sera ricordando Pinketts durante la funzione -, mi chiamava sul telefono fisso della redazione e gli dicevo ‘chiamami sul telefonino’, spesso sul fisso chiamano gli scocciatori, gli dicevo, ma non l’ha mai fatto e ho smesso di chiederglielo. Andrea aveva questa fama da rockstar, da mattatore, da gigione. Era un uomo che dominava la scena, faceva la scena, ma io ho sempre pensato, anche con questa piccola cosa del telefono, che Andrea avesse una terribile paura di disturbare. Aveva questo pudore, lui che era sempre in una splendida esibizione non voleva disturbare la vita degli altri. È stato l’ultimo a interpretare la figura dello scrittore novecentesco, anche una parodia, ma lui è stato uno scrittore. Nel modo di scrivere, di parlare, nell’impareggiabile modo di vestirsi. Poi però era scrittore quando era solo, di notte, con i suoi fantasmi, e sulla pagina dava il meglio. Era uno dei pochi con ‘il senso della frase’, Andrea era musica”.

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